Previdenza
di Cesare Damiano

La domanda di fondo è, dunque, come reggeranno al confronto con la realtà due provvedimenti che appaiono concepiti in modo confuso e farraginoso e con un difetto che non può essere in alcun modo taciuto: un orizzonte e uno stanziamento di risorse che non hanno alcun carattere strutturale

Questo numero di LavoroWelfare è dedicato alla discussione generata dalla legge di Bilancio 2019 e, in particolare, ai provvedimenti cardine della manovra: Reddito di Cittadinanza e Quota 100. Nelle pagine che seguono troverete i risultati degli studi analitici condotti dai componenti del nostro Centro Studi Previdenza e alle conclusioni cui sono giunti.
L’orizzonte della discussione è assai vasto perché implica temi sociali di grande portata. E, insieme a essi, il futuro del Paese. Perché la manovra portata a conclusione dalla maggioranza è frutto di un percorso assai avventuroso. In primo luogo, viene chiamata in causa la credibilità delle forze che compongono il Governo, che sul reddito di cittadinanza e sulla “abolizione” – o riforma – della legge Fornero hanno costruito – nel tempo e nelle elezioni del 4 marzo 2018 in particolare – una parte consistenze delle proprie strategie e fortune politiche; il MoVimento 5 Stelle ha tenuto il Reddito di Cittadinanza tra gli elementi fondamentali della propria agenda politica da sempre. La Lega – allora ancora “Nord” – fu la forza che segnatamente non votò il decreto “Salva Italia” e, quindi, la manovra sulle pensioni nota come “riforma Fornero”. La prima osservazione politica è dunque che i provvedimenti che ci troviamo a discutere vengono, in un certo senso, da lontano. Mentre le altre forze protagoniste del confronto politico nel nostro Paese e di alcune stagioni del suo governo hanno, in un primo tempo, accettato il “rigore” dei conti – e perciò la sua asprezza sociale, arrivando, poi, almeno alcune, a cercare di battere strade diverse, M5S e Lega si sono sempre visibilmente opposte a questo princìpio.
In seguito, i governi guidati dal Partito Democratico hanno imboccato strade, almeno in parte, diverse. Il Governo Renzi, che in un primo momento aveva rifiutato il confronto con le parti sociali, accettò nel 2016 di sedersi al tavolo con i sindacati dei lavoratori e aprì all’introduzione di forme di flessibilità pensionistica impedita dalla legge Fornero. Nacquero da quel tavolo – come effetto del Verbale allora sottoscritto – provvedimenti come l’Ape sociale e volontaria concepiti su quella base. Nel 2017, il Governo Gentiloni operò nella direzione del contrasto alla povertà, introducendo il Reddito di Inclusione. Intanto, nel corso della XVII Legislatura, vennero realizzate sei delle otto salvaguardie per gli esodati.
Sta di fatto, che il centrosinistra non è riuscito a capitalizzare nel discorso pubblico e nella sensibilità dell’elettorato la qualità di quei provvedimenti e di quel cambio di direzione. Gli effetti dirompenti del Jobs Act e del tentativo fallimentare di riforma costituzionale ne hanno, indubbiamente, “coperto” la portata nella percezione del pubblico. Mentre buon gioco hanno avuto il MoVimento 5 Stelle e la Lega di Salvini nel rivendicare quella “coerenza” – seppur per molti versi strumentale – nell’opposizione all’idea stessa di rigore nel Bilancio pubblico.
Giungiamo, con queste premesse storiche, all’avvio della XVIII Legislatura e alla nascita del Governo Gialloverde. M5S e Lega devono, a qualunque costo, far fronte alle promesse elettorali fondate, va detto, su un’autentica e diffusa richiesta di protezione sociale. Al punto che, annunciata trionfalmente dal balcone di Palazzo Chigi la “abolizione della povertà” con la stesura della bozza della legge di Bilancio 2019, inizia il complesso e “nervoso” iter del confronto con le Istituzioni europee, soprattutto il Consiglio composto dai Governi, che vede la demolizione del presupposto di una crescita del 2,5 per cento del Prodotto Interno Lordo, cardine su cui si regge la spesa per la realizzazione di Reddito di Cittadinanza e Quota 100. Via via, il target di crescita scende. È di pochi giorni fa l’annuncio delle previsioni della Commissione Eurpea che mettono la crescita italiana all’ultimo posto (0,2%) tra i Paesi membri.
La domanda di fondo è, dunque, come reggeranno al confronto con la realtà due provvedimenti che appaiono concepiti in modo confuso e farraginoso e con un difetto che non può essere in alcun modo taciuto. Un orizzonte e uno stanziamento di risorse che non hanno alcun carattere strutturale. Punto questo di estrema gravità. Perché sia chiaro: sul fronte delle pensioni, la legge Fornero non è stata né abolita né riformata. È ancora lì a parte che per un’eccezione che riguarda solo i nati fino al 1959, i quali saranno interessati a Quota 100 che, come sappiamo, scade a fine 2021 (i nati nel 1960 raggiungeranno i 62 anni di età, utili per andare in pensione, solo nel 2022). Ancora, la struttura del Reddito di Cittadinanza mette in una relazione confusa lotta alla povertà e mercato del lavoro. Presupposto che non regge in un tempo – quello dei working poor – in cui si può avere un lavoro ed essere poveri. Con l’aggravante dell’inadeguatezza del sistema dei Centri per l’impiego certo non risolta dall’assunzione di navigator precari.
In queste pagine sarà approfondita in modo analitico la struttura di quei provvedimenti. Saranno illustrate le proposte di cambiamento messe a punto dai nostri esperti. Un lavoro che abbiamo svolto nella convinzione che mettere quei provvedimenti in una prospettiva realistica, sia lavoro utile al Paese e tutti gli attori del dibattito su queste materie.
Non basta fare una opposizione ideologica alle scelte del Governo. Occorre indicare quali sono le alternative e le correzioni in grado di eliminare le diseguaglianze e le contraddizioni contenute nei provvedimenti legislativi mentre è in corso la battaglia parlamentare sul “Decretone”.

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