Politiche attive
di Maurizio Croce
Collegare e integrare l’esistente con l’imponente quota di risorse europee, prestare attenzione alla governance dei servizi per il lavoro nel delicato rapporto tra Stato e Regioni: solo così l’Italia riuscirà ad abbattere il gap con i più avanzati sistemi europei anche nel campo dei servizi per l’impiego
Chi si occupa di servizi per il lavoro sotto il profilo tecnico sa che il mercato del lavoro del nostro Paese ha dovuto attendere vent’anni tra passaggio dei “vecchi” uffici di collocamento ministeriali ai “nuovi” centri per l’impiego regionalizzati, affinché si definisse a livello nazionale cosa questi uffici dovessero erogare a cittadini e datori di lavoro in modo costituzionalmente esigibile. Questo perché dal 1997, con la Riforma Treu1 ed il D.Lgs. 469, che decentravano gli uffici di collocamento alle Province con un ruolo regionale di coordinamento, al Jobs Act2, che istituiva i centri per l’impiego come terminali territoriali regionali e rimandava al confronto Stato-Regioni per la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), si è dovuto attendere il 2018.
Nel 2018 si è finalmente giunti alla definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni nei servizi pubblici per l’impiego attraverso il decreto ministeriale 4-11 gennaio, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Si tratta di una serie di prestazioni che – secondo la Costituzione – i centri per l’impiego del nostro Paese devono erogare sia nei confronti dei cittadini in cerca di occupazione, sia dei datori di lavoro in cerca di personale. La gamma di servizi, molto articolata, è rappresentata nella seguente tabella:
Superfluo sottolineare l’illogicità di questo passaggi. In altri termini, la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni doveva, forse (?), avvenire prima del decentramento dei servizi per l’impiego alle Province prima e alle Regioni dopo. È inutile lamentare – oggi – l’estrema frammentarietà dei servizi per l’impiego nel Paese e che i centri per l’impiego funzionino diversamente dalla Valle D’Aosta alla Sicilia e, spesso, anche all’interno della stessa Regione e della stessa Provincia; fenomeno che si è ulteriormente perpetuato nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione3 e con la classificazione di “materia concorrente” tra Stato e Regioni relativamente alle politiche del lavoro.
Successivamente nel 2019 con l’avvio del Reddito di Cittadinanza4, il legislatore ha affiancato il lancio della misura di sostegno al reddito ad un Piano Straordinario Triennale di Potenziamento dei Centri per l’Impiego (2019-2021)5 affinchè fossero in grado di collegare il sussidio economico a percorsi di ri-collocazione dei beneficiari abili al lavoro attraverso la partecipazione a percorsi di politica attiva.
Il Piano – per la prima volta dalla riforma Treu – a regìme prevede, con risorse nazionali, un forte potenziamento degli organici dei CPI connotati da molti anni dal blocco del turn over e ormai quasi privi di personale – in molti casi prossimo al pensionamento come molti settori della Pubblica Amministrazione -, con 11.600 nuove risorse aggiuntive rispetto ai circa 8.000 attualmente in forza.
Il Piano di durata triennale, è aggiornato annualmente e, oltre a intervenire sull’ingresso di nuovi operatori, comprende anche investimenti in formazione del personale già in forza e dei nuovi entranti, potenziamento strumentale e infrastrutturale dei centri, dei sistemi informativi, di miglioramento degli osservatori del mercato del lavoro nonché della comunicazione. Nella tabella sono riportati gli importi aggiornati6 per il 2019 ed il 2020 con la distribuzione aggiuntiva del personale da inserire nei CPI per Regione, dal momento che sono le Regioni a gestire i CPI e a intervenire operativamente, ciascuna con un proprio Piano Regionale Straordinario di Potenziamento dei Servizi7.
Anche in questo caso – forse – ci ritroviamo a fare i conti con la logica: prima/dopo; if/then. I risultati, non proprio esaltanti – relativi alla ricollocazione al lavoro dei beneficiari di reddito di cittadinanza abili al lavoro – in gran parte dovuti alla crisi economica in cui il Paese è precipitato a seguito della pandemia, sarebbero stati sicuramente meno deludenti se fosse partita prima l’azione di potenziamento dei centri per l’impiego e dopo l’avvio della misura economica di sostegno al reddito verso i nuclei familiari in povertà assoluta; misura per altro adeguata a un Paese sviluppato come il nostro; e che ci equipara agli altri Paesi europei in termini di redistribuzione del reddito e di giustizia sociale.
Del resto la pandemia ha avuto un impatto negativo non solo sul mercato del lavoro tout court, ma anche sul potenziamento dei centri per l’impiego. Nel 2020 il Covid-19 ha rallentato in modo drastico le azioni di potenziamento soprattutto rispetto all’espletamento dei concorsi per l’assunzione a tempo indeterminato di nuovo personale, al punto che proprio la tabella precedente illustra che i nuovi ingressi per quell’anno sono in realtà rinviati al 2021. Per i gravi problemi sanitari, sia nella prima ondata sia nelle successive gli uffici sono rimasti chiusi al pubblico o, nella migliore delle ipotesi, aperti solo su appuntamento. Questo periodo ha però accelerato alcuni processi già in atto precedentemente alla crisi pandemica di de-materializzazione e digitalizzazione di alcuni servizi. Si tratta di un processo “a macchia di leopardo” come tutto ciò che riguarda i servizi pubblici per l’impiego nel nostro Paese, connotati da un alto livello di frammentarietà territoriale. Tuttavia non mancano casi di eccellenza come in Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Toscana dove già esistevano sistemi informativi per il lavoro che consentivano l’erogazione di servizi anche specialistici “da remoto” sia verso la persona in cerca di occupazione sia verso i datori di lavoro; ma anche altre Regioni come Liguria, Lazio, Puglia hanno utilizzato strumenti digitali – e basati sull’identità digitale – per erogare, in ogni caso, servizi a distanza. Si tratta di una pista di lavoro importante che sta assumendo una rilevanza strategica nel panorama più ampio della Digitalizzazione della Pubblica Amministrazione tout court.
E arriviamo a giorni nostri ed alla grande scommessa che riguarda il funzionamento dei servizi per il lavoro italiani collegando il piano straordinario di potenziamento dei centri per l’impiego al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il documento, che traccia gli obiettivi, le riforme e gli investimenti che l’Italia vuole realizzare con i fondi europei di Next Generation EU. Rispetto ai 6 pilastri del Pnrr, molte azioni possono avere un impatto positivo sul potenziamento dei centri per l’impiego, sia sotto il profilo dell’appartenenza dei centri al più vasto perimetro della Pubblica Amministrazione, sia per il loro ruolo di volano delle politiche attive del lavoro.
Rispetto alla prima missione sarà fondamentale la leva della digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA, che potrà contare su 11,7 miliardi totali in tutti i campi dell’Amministrazione Pubblica. C’è poi la missione 5 “Inclusione e sociale” che prevede 3,5 miliardi destinati alle politiche attive. Queste risorse dovranno contribuire ad aumentare il tasso di occupazione, facilitando le transizioni lavorative da un impiego all’altro, o dalla disoccupazione al lavoro, l’inserimento lavorativo dei Neet8, e l’adeguamento delle competenze alle trasformazioni del mercato del lavoro. Per raggiungere questi obiettivi si interviene anzitutto modificando la disciplina dell’assegno di ricollocazione (in corso), rafforzando i centri per l’impiego e affidando al nuovo Programma nazionale Garanzia di occupabilità dei lavoratori (Gol), già previsto dalla legge di Bilancio 2021, la presa in carico dei disoccupati e delle persone in transizione occupazionale, sia per la profilazione dei servizi al lavoro che per la formazione.
Solo collegando e integrando i diversi interventi già in campo con questa imponente quota di risorse europee, prestando molta attenzione alla governance dei servizi per il lavoro nel delicato rapporto tra Stato e Regioni, il nostro Paese riuscirà ad abbattere il gap con i più avanzati sistemi europei anche nel campo dei servizi per l’impiego.
1. Legge 196/1997.
2. Legge Delega n. 183/2014.
3. Legge Costituzionale 3/2001.
4. Decreto legge n. 4 del 28 gennaio 2019, convertito con modificazioni dalla Legge n. 26 del 28 marzo 2019.
5. Decreto Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 74/2019.
6. Il DM 74/2019 è stato modificato dal DM 59/2020.
7. Il cui format è definito nel DD n. 123 del 04/09/2020 “Piani-regionali-CPI”.
8. L’acronimo NEET “Not in Education, Employment or Training” definisce i ragazzi e i giovani adulti che non studiano, non lavorano e non seguono alcun percorso di formazione.
Maurizio Croce
Esperto di servizi per il lavoro e politiche attive
Responsabile Linea 1 “Azioni di Rafforzamento dei Servizi per l’impiego e introduzione nuove metodologie” di Anpal Servizi