Diritto
di Federica Sanna

Il Consiglio dell’UE approva il testo della direttiva e riforma la materia del distacco di lavoratori con l’obiettivo di contrastare il dumping sociale

Il principio di libera circolazione dei lavoratori è alla base del sistema giuridico dell’Unione Europea. Stabilito dall’Art. 3 del Trattato dell’UE, il diritto implica l’abolizione di ogni discriminazione fondata sulla nazionalità per quanto riguarda impiego, retribuzione e condizioni di lavoro. Si sono quindi affermati nel mercato del lavoro europeo due differenti scenari: il caso di cittadini che cercano lavoro o svolgono il proprio impiego in un diverso Stato membro, esercitando il diritto alla libera circolazione, e il fenomeno dei lavoratori distaccati: in questo caso, ad avvalersi del principio non è il lavoratore ma il datore di lavoro, che può inviare i dipendenti all’estero per un periodo di tempo limitato.

La pratica del distacco di lavoratori ha dato origine, nel tempo, a fenomeni di dumping sociale, dovuto alle differenze esistenti nel costo del lavoro e protezione sociale tra i Paesi europei. Oltre alle immediate conseguenze negative, dovute alla disparità nella retribuzione del lavoratore distaccato rispetto ai cittadini dello Stato membro in cui svolge l’attività, il dumping sociale ha effetti anche a lungo termine, causando il rischio che gli Stati si trovino costretti ad abbassare gli standard di tutela domestici per far fronte alla concorrenza europea.

Al fine di contrastare il fenomeno senza rinunciare alla libertà di movimento, la direttiva 2014/67 ha meglio definito il framework normativo del distacco dei lavoratori, accompagnandosi così alla precedente direttiva 96/71, che per prima aveva definito i caratteri della materia. Lo scenario europeo, dopo più di vent’anni dalla prima iniziativa legislativa, ha subìto dei notevoli cambiamenti, quali l’allargamento a Est dell’Unione e la crescente globalizzazione economica e finanziaria. Le Istituzioni europee hanno quindi deciso di riformare la disciplina per adeguarla alle sfide contemporanee: l’iniziativa della Commissione, che ha proposto un testo di modifica della direttiva, è stata approvata a fine ottobre dal Consiglio dell’UE e passerà presto all’esame del Parlamento Europeo.

La riforma presenta diversi caratteri di novità. In base alla normativa vigente, al lavoratore distaccato viene garantito un nucleo minimo di tutele: tra queste, periodi massimi di lavoro e minimi di riposo, durata minima delle ferie annuali, sicurezza, salute e igiene sul lavoro, parità di trattamento tra uomo e donna e tariffe minime salariali. Tali condizioni devono essere stabilite dalla legge nazionale o da contratti collettivi definiti di applicazione generale.

Il primo problema che sorge dall’applicazione dell’attuale direttiva riguarda la retribuzione: il concetto di tariffa minima salariale non include bonus, indennità e rimborsi che sono invece garantiti al lavoratore cittadino dello Stato membro. Contestualmente, l’azienda continua a versare i contributi nel Paese d’origine, evitando quindi di far fronte ai trattamenti previdenziali previsti nel Paese di distacco del lavoratore. La proposta di riforma della direttiva prova a superare tale condizione, sostituendo il principio di “tariffa minima salariale” con quello più comprensivo di “retribuzione”. I lavoratori distaccati godranno non solo di un allineamento del salario rispetto ai locali, dopo un certo periodo di tempo, ma anche dell’equiparazione degli oneri sociali aggiuntivi.

Un secondo elemento di novità riguarda la durata del distacco: l’accordo raggiunto dai ministri del Lavoro dell’UE prevede un periodo massimo di 12 mesi, oltre il quale il Paese ospitante sarà considerato come quello in cui il lavoratore svolge abitualmente la sua attività. Egli sarà quindi soggetto alle norme del Paese stesso.

Infine, la direttiva sul distacco di lavoratori si applicherà finalmente anche ai casi di subappalto e lavoro somministrato. Nel primo caso, la principale conseguenza è che gli Stati avranno la facoltà di subordinare l’aggiudicazione di un appalto e il conseguente subappalto alla garanzia di prevedere certe condizioni di retribuzione.

In conclusione, la riforma si configura certamente come un successo verso la progressiva realizzazione di un’Europa sociale basata sul principio di eguaglianza. Rimane però ancora un nodo irrisolto: la direttiva prevede che ai lavoratori distaccati venga garantito un nucleo minimo di tutele quando questo è previsto dalla legge o da contratti collettivi di applicazione generale. Tale previsione non tiene però conto della varietà dei sistemi contrattuali presenti negli Stati europei. Al fine di evitare di applicare al ribasso il principio dell’equal pay, sarebbe forse necessario riconoscere il diritto dei sindacati nazionali di contrattare nell’interesse dei lavoratori europei distaccati. Infine, è necessario sottolineare l’opportunità che il testo della riforma rimarchi il principio della libertà d’espressione, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE ma mai abbastanza evidenziato nelle norme giuridiche.

Federica Sanna

Federica Sanna

è studentessa in Studi Giuridici Europei, Lavoro&Welfare Piemonte

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