analisi

di Giovanni Battafarano

Spetta alla politica dare una risposta riformista alla diffusa insoddisfazione che il referendum ha confermato

Un aspetto positivo del referendum è stata l’ampia partecipazione al voto – 33 milioni di votanti non erano scontati- a conferma che, se il tema appassiona, gli italiani partecipano e scelgono. Il risultato è stato molto netto: il NO ha prevalso con oltre il 59% e 19,5 milioni di voti.

Come è noto, solo una parte degli elettori ha scelto il NO per il merito della riforma costituzionale, la maggioranza ha inteso invece manifestare un giudizio negativo sul governo e, in particolare, sul presidente del consiglio. Siamo in una stagione politica in cui chi governa paga pegno, vedasi Gran Bretagna, Stati Uniti, domani probabilmente la Francia. L’errore di Renzi è stato di aver personalizzato la campagna referendaria e di aver coagulato contro di sé un complesso di forze, profondamente diverse tra di loro, ma accomunate dall’obiettivo di colpire il premier e affondare il governo.

Il voto referendario assesta un altro colpo al già declinante bipolarismo italiano e conferma che gli italiani non amano logiche maggioritarie e diffidano dal rischio vero o presunto dell’uomo solo al comando. Evidentemente una parte degli elettori ha avvertito questo rischio e ha voluto conservare il bicameralismo paritario, al quale potrebbe aggiungersi a breve il ritorno al sistema proporzionale. Si tratta di una tendenza ormai largamente diffusa in vari paesi europei. Il tradizionale bipolarismo popolari- socialdemocratici si è molto indebolito a vantaggio di forze emergenti, populiste, in taluni casi antisistema o antieuropee. Sempre più spesso il bipolarismo cede il passo a larghe coalizioni tra centrodestra e centrosinistra, scelta che finisce con il rafforzare le forze antisistema.

Il voto referendario inoltre è stata l’occasione per manifestare il malessere di larghe fasce di popolazione italiana. Anzitutto il Sud, dove il NO passa dal 65% della Basilicata al 67% della Puglia al 71-72 della Sicilia e della Sardegna. Il Sud vota contro il Governo perché è l’area del Paese in cui sono più numerosi i giovani disoccupati, anche se forniti di adeguati titoli di studio, e in cui non si avverte ancora un progetto di sviluppo innovativo con un convincente piano per il lavoro. Se guardiamo alle fasce di età e alle categorie, i giovani, gli operai, le casalinghe, i disoccupati, i lavoratori autonomi sono quelli che concedono al SÌsuffragi inferiori rispetto alla media nazionale.

Siamo nella fase finale della legislatura. Occorre predisporre una legge elettorale che renda omogenei i sistemi di voto di Camera e Senato e trovi il giusto equilibrio tra rappresentanza e governabilità. Nel breve lasso di tempo prima del voto, un rinnovato progetto riformista deve riconnettersi con le aree territoriali e sociali del disagio, per evitare che la politica appaia sganciata dagli interessi del popolo.

Il voto della provincia di Taranto (SÌ al 31,52%), leggermente inferiore alla media pugliese (32,84%), è dovuto sia al prolungarsi della crisi dell’ILVA sia al pasticcio dell’emendamento dei 50 milioni per la sanità tarantina non andato a conclusione. La percentuale del NO e quindi della protesta aumenta nei quartieri popolari Tamburi e Paolo Sesto.

Nella prospettiva del voto comunale della prossima primavera, che potrebbe accavallarsi alle elezioni politiche generali, l’esito referendario consegna una larga vittoria del NO, che avvantaggia le forze che hanno fatto tale scelta, e una tendenza alla frammentazione dell’offerta politica, che rende più difficile una chiara alternativa tra diverse opzioni per il governo della città e il superamento della crisi. Tuttavia il voto di protesta non basta: spetta alla politica dare una risposta riformista alla diffusa insoddisfazione che il referendum ha confermato.

Giovanni Battafarano

è segretario generale di Lavoro&Welfare

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